Diritto d'Autore: Il titolo come segno distintivo dell'opera dell'ingegno
Di Alessio Canova
05 novembre 2021
[articolo pubblicato sull Rivista dell'Ordine dei Consulenti in Proprietà Industriale del 02/11/2021]
Ai sensi dell’art. 100 della legge n. 633 del 1941 (c.d. legge sul diritto d’autore – da ora semplicemente LDA): “Il titolo dell’opera, quando individui l’opera stessa, non può essere riprodotto sopra altra opera senza il consenso dell’autore. Il divieto non si estende ad opere che siano di specie o carattere così diverso da risultare esclusa ogni possibilità di confusione. È vietata egualmente, nelle stesse condizioni, la riproduzione delle rubriche che siano adoperate nella pubblicazione periodica in modo così costante da individuare l’abituale e caratteristico contenuto della rubrica. Il titolo del giornale, delle riviste o di altre pubblicazioni periodiche non può essere riprodotto in altre opere della stessa specie o carattere, se non siano decorsi due anni da quando è cessata la pubblicazione del giornale.”.
I primi due commi della norma in commento esprimono la regola; il terzo ed il quarto comma disciplinano invece casi particolari, in considerazione delle peculiarità dell’opera di cui si tratta, ovvero rappresentano eccezioni. Per quanto il dettame sopra riprodotto sia contenuto nella LDA, trattasi a tutti gli effetti dell’espressione di principi generali dell’ordinamento, secondo il quale è fatto divieto di adottare segni distintivi confondibilmente simili rispetto a quelli adottati anteriormente da terzi. L’art. 2, comma secondo, del Codice della Proprietà Industriale, contenuto nel Capo I “Disposizioni generali e principi fondamentali”, afferma che “sono protetti, ricorrendone i presupposti di legge, i segni distintivi diversi dal marchio registrato”. Ancora, l’articolo 2598 del Codice Civile dispone che “…compie atti di concorrenza sleale chiunque (…) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri”. L’art. 100 LDA costituisce quindi un richiamo espresso, invero più nella sostanza che nella forma, ai principi generali stabiliti dall’ordinamento a tutela dei segni distintivi, facendo diretta menzione dei due requisiti fondamentali perché l’autore dell’opera possa esercitare un diritto esclusivo sul titolo della stessa, ovvero la presenza della “capacità distintiva” (“quando individui l’opera stessa”) e del rischio di confusione (“il divieto non si estende ad opere che siano di specie o carattere così diverso da risultare esclusa ogni possibilità di confusione”).
Tale interpretazione è stata confermata in più occasioni dalla Suprema Corte: - “Occorre premettere che questa Corte ha avuto occasione di chiarire che in tema di diritto d’autore, il titolo (c.d. testata) del giornale, delle riviste o di altre pubblicazioni periodiche, anche se frutto di un pensiero originale, non costituisce in sé e per sé un’opera dell’ingegno, non avendo una funzione creativa, ma esclusivamente una funzione distintiva: esso, pertanto, non è tutelato come bene autonomo, ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 12, ma riceve una tutela esaustiva da parte dell’art. 100, della medesima legge, nella misura in cui individui una pubblicazione, della quale rappresenta il segno distintivo” (ex plurimis Cass. 16888/06; Cass. 17903/04; Cass. 1264/88; Cass. 841/72). - “Proprio in ragione della natura distintiva della testata, questa Corte ha ritenuto in diverse occasioni di fare riferimento ai criteri stabiliti in tema di segni distintivi dell’impresa e dei suoi prodotti. A tale proposito, si è, ad esempio, precisato che “anche un titolo generico o meramente descrittivo può acquistare una funzione individualizzatrice se, per l’uso che di quel titolo sia stato fatto in relazione ad una certa opera, per il tempo in cui ciò si è verificato e per la notorietà che l’opera ha acquistato presso il pubblico, si determini diffusamente un fenomeno di associazione” che porta i fruitori dell’opera a collegare all’opera stessa quelle parole e quei segni, pure in sé privi di particolare originalità, dei quali il titolo si compone.”. (Cass. 1636/06).
Se non fosse per la disciplina particolare delle rubriche, dei titoli di giornali, riviste e altre pubblicazioni contenuta nei commi terzo e quarto, l’art. 100 potrebbe quindi apparire superfluo, in quanto ridondante rispetto a norme che esprimono i medesimi principi generali: in ultima analisi, il titolo di un’opera dell’ingegno è in tutto e per tutto parificabile ad un marchio non registrato (c.d. marchio di fatto). Sulla base di quanto precede, l’interprete è obbligato a seguire le indicazioni della Suprema Corte e ad interpretare la particolare forma espressiva dell’art. 100 LDA alla luce delle categorie giuridiche elaborate da dottrina e giurisprudenza in relazione ai segni distintivi, marchio sopra tutti.
Così ragionando, dove il legislatore del 1941 scrive “quando individui l’opera stessa” l’interprete deve cogliere il riferimento alla necessaria presenza di una attitudine dell’opera a distinguersi tra opere del medesimo genere, permettendo al fruitore di collegarla all’autore, con un processo mentale analogo a quello del consumatore di beni o servizi che ricollega gli stessi al produttore. Quando l’opera presenti un titolo tanto generico da non permetterne “l’individuazione” tra opere della medesima specie da parte del fruitore, il divieto di riproduzione ex art. 100 LDA non potrà essere invocato, per carenza del requisito primo dei segni distintivi, ovvero la capacità distintiva.
Ma c’è di più. Mentre nel caso di un marchio validamente depositato il requisito della capacità distintiva viene valutato in funzione delle caratteristiche intrinseche del segno, in relazione ai beni e/o servizi rivendicati, nel caso del titolo di un’opera dell’ingegno detto requisito viene fortemente influenzato dalla notorietà dell’opera stessa, come del resto ribadito nella massima espressa dalla Cassazione 1636/06. Ai sensi dell’art. 100 LDA il titolo, quand’anche intrinsecamente poco distintivo, sarà comunque in grado di permettere l’“individuazione” dell’opera nel momento in cui questa avrà guadagnato spiccata notorietà presso il pubblico di riferimento.
Inoltre, analogamente a quanto avviene nel caso del marchio d’impresa, la sussistenza del requisito della distintività è condizione necessaria ma non sufficiente per la tutela del segno: si richiede infatti la contestuale presenza di un rischio di confusione. Con riferimento a questo secondo requisito, l’art. 100 è, anche da un punto di vista formale, più omogeneo ai principi generali sul tema, stante il diretto riferimento alla “possibilità di confusione” che non deve essere “esclusa”.
Tutto ciò considerato, verrebbe da chiedersi se abbia una qualche utilità la registrazione del titolo dell’opera dell’ingegno come marchio, ad esempio rivendicando i prodotti “libri” nella classe 16 della Classificazione Internazionale di Nizza. La risposta è indubbiamente affermativa, per una serie di ragioni. La prima è di ordine “qualitativo”. L’art. 100 LDA, come abbiamo visto, garantisce all’autore dell’opera un diritto esclusivo sulla “riproduzione” del titolo su altre opere della medesima specie o con il medesimo carattere. Nel linguaggio del legislatore “riproduzione” significa “copia”, sicché l’utilizzo di un titolo concettualmente equivalente ma formalmente diverso non potrebbe essere vietato ai sensi dell’articolo in commento.
Invece, ai sensi dell’art. 20, comma 1, lettere b) e c) del CPI, il titolare del marchio d’impresa registrato ha il diritto di vietare ai terzi di usare: “b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.”. La seconda ragione è invece di ordine cronologico. Come abbiamo visto, l’attitudine individualizzante del titolo secondo quanto disposto dall’art. 100 LDA dipende sempre dalla notorietà dell’opera. Non è logicamente ipotizzabile l’esercizio di un diritto esclusivo sul titolo di un’opera inedita, del tutto priva di notorietà.
La registrazione del titolo di un’opera come marchio, invece, non richiede che la stessa abbia acquisito preventivamente notorietà alcuna ed anzi ben potrebbe precedere (di ben cinque anni, ex art. 24 CPI) l’uso effettivo.
Da ultimo, non si deve dimenticare che la registrazione del titolo dell’opera come marchio permetterebbe al titolare di accedere alle tutele rafforzate previste dal CPI rispetto ai rimedi esperibili contro le violazioni dei principi concorrenziali, dal momento che non sembrerebbero applicabili le disposizioni contenute nel Capo III “Difese e sanzioni giudiziarie” della LDA, stante l’affermazione sopra citata della Suprema Corte secondo cui il titolo “non costituisce in sé e per sé un’opera dell’ingegno, non avendo una funzione creativa, ma esclusivamente una funzione distintiva: esso, pertanto, non è tutelato come bene autonomo, ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 12, ma riceve una tutela esaustiva da parte dell’art. 100, della medesima legge, nella misura in cui individui una pubblicazione, della quale rappresenta il segno distintivo”. In conclusione, per quanto espressione di un principio generale che vieta ai terzi l’utilizzo di segni confondibilmente simili, la disposizione contenuta nell’art. 100 LDA prevede una tutela che risulta essere qualitativamente e cronologicamente differente e di grado inferiore rispetto a quella garantita dalla registrazione del titolo dell’opera d’ingegno come marchio.
Alessio Canova
Italian & European trademark and design attorney
Fondatore e CEO di C-3PI, specializzato nella tutela e nella valorizzazione economica del marchio e degli asset di Proprietà Intellettuale