La registrazione di marchi recanti la denominazione “MILANO”
Di Alessio Canova
05 novembre 2024
[articolo pubblicato sull Rivista dell'Ordine dei Consulenti in Proprietà Industriale del 05/11/2024]
Con la Determinazione dirigenziale n. 3950 del 17 maggio 2024, il Comune di Milano ha approvato i documenti attuativi del “Regolamento per il rilascio dell'autorizzazione alla registrazione di marchi di terzi recanti la denominazione “Milano””.
Tale Regolamento fu annunciato e comunicato alla stampa ad inizio anno, per poi essere formalmente approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 29 del 23 aprile 2024.
Materialmente viene assegnata alla Direzione Specialistica Autorizzazioni e Concessioni (SUAP) la “competenza relativa al "Rilascio delle autorizzazioni per la Registrazione di marchi di terzi recanti la denominazione "Milano", ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs. n. 30/2005”.
Il riferimento diretto al Codice della Proprietà Industriale crea alcuni dubbi interpretativi.
Come ben sanno i colleghi “marchisti”, l’art. 10 CPI, comma 1 prevede che:
“Gli stemmi e gli altri segni considerati nelle convenzioni internazionali vigenti in materia, nei casi e alle condizioni menzionati nelle convenzioni stesse, nonché i segni contenenti simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico inclusi i segni riconducibili alle forze dell'ordine e alle forze armate e i nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa, a meno che l'autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione”.
Il riferimento a “i nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani” rappresenta una recente specificazione rispetto alla dicitura più generica contenuta nella previgente “legge marchi” (R.D. 21/06/1942, n. 929, come modificato dal D.Lgs. 4.12.1992, n. 480), poi transitata senza variazioni nel testo originario del CPI, e a quella presente nel Regolamento sul marchio dell’Unione europea (REGOLAMENTO (UE) 2017/1001 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 14 giugno 2017), normative che rispettivamente escludono dalla registrazione in assenza dell’autorizzazione dell’autorità competente “i segni contenenti simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico” e “i marchi che comprendono distintivi, emblemi o stemmi diversi da quelli previsti dall'articolo 6 ter della convenzione di Parigi e che presentano un interesse pubblico particolare”.
L’introduzione di un riferimento diretto ai “nomi [di Stati e] di enti pubblici territoriali italiani” nell’art. 10 CPI determina una esigenza di coordinamento a livello interpretativo con il successivo art. 19, comma 3 CPI, ai sensi del quale: “anche le amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni possono ottenere registrazioni di marchio, anche aventi ad oggetto elementi grafici distintivi tratti dal patrimonio culturale, storico, architettonico o ambientale del relativo territorio”.
Infine, l’art. 114 della Costituzione dispone che: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. (…)”.
Si può quindi convenire in merito al fatto che:
a) i “nomi di enti pubblici territoriali italiani” citati nell’art. 10 CPI siano i nomi di comuni, province e città metropolitane; e
b) l’ipotesi disciplinata sia quella in cui il marchio domandato corrisponda al o contenga il nome di uno Stato o di un ente pubblico territoriale italiano.
Stante il riferimento diretto all’art. 10 CPI, sembrerebbe quindi che il Comune di Milano abbia “semplicemente” affidato al SUAP la competenza per il rilascio di autorizzazioni per la registrazione come marchio d’impresa del nome dell’ente pubblico territoriale “Comune di Milano”. Da questo punto di vista, gli operatori del settore non possono che accogliere favorevolmente la norma, in quanto spesso si rivela complicata anche la sola individuazione del soggetto preposto all’esame ed alla concessione di autorizzazioni ai sensi dell’art. 10 CPI. Ora invece chiunque volesse registrare un marchio recante la denominazione “Milano” sa precisamente a quale autorità amministrativa rivolgere la propria richiesta di autorizzazione.
Tuttavia, sia il Regolamento approvato ad aprile, sia la successiva Determinazione dirigenziale di maggio dicono altro, disciplinando espressamente il “rilascio delle autorizzazioni per la Registrazione di marchi di terzi recanti la denominazione “Milano””.
Questo determina due quesiti.
Da un lato, mentre il CPI condiziona al rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità competente la registrazione di marchi che corrispondono a (“non possono costituire”) nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani, il Comune di Milano sembra voler imporre una propria autorizzazione per la registrazione di marchi che contengono (“recanti”) la denominazione “Milano”.
Non vi è infatti dubbio che il participio “recanti” debba intendersi come “contenenti”, poiché:
a) nella Determinazione dirigenziale n. 3950 si scrive espressamente di “inserimento della denominazione “Milano” nel marchio d’ impresa di cui alla domanda di registrazione depositata”; e
b) nella Deliberazione del Consiglio Comunale n. 29 si scrive espressamente che l’autorizzazione è necessaria per la registrazione della denominazione “Milano” “in qualsiasi forma e modalità venga espressa, da sola e/o in combinazione con altri termini”.
Dall’altro lato, secondo la maggior parte degli interpreti l’ente pubblico territoriale che, ai sensi dell’art. 10 CPI, avrebbe il potere di rilasciare (o negare) una autorizzazione alla registrazione di marchi corrispondenti a / recanti il loro “nome” è propriamente il “Comune di Milano”. Il nome “Milano” è invece un toponimo, ovvero il nome proprio di un luogo.
Il Regolamento in commento, pertanto, potrebbe eccedere l’ambito operativo previsto dall’art. 10 CPI, che pur viene espressamente richiamato, poiché condiziona all’approvazione del SUAP non solo la registrazione di marchi che corrispondono al nome dell’ente pubblico territoriale “Comune di Milano” ma che semplicemente contengono il termine “Milano”.
Ancora, da un punto di vista sistematico, l’art. 10 è perfettamente coerente con l’impianto del Codice della Proprietà Industriale in quanto prevede una ragionevolissima eccezione alla regola generale secondo la quale è assolutamente possibile registrare come marchio un segno che contiene un elemento descrittivo della provenienza geografica dei prodotti o dei servizi rivendicati.
L’art. 13 CPI dispone infatti che: “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare (…) b) quelli costituiti esclusivamente (…) da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare (…) la provenienza geografica”.
Ne consegue inevitabilmente l’interpretazione secondo la quale possono costituire oggetto di registrazione come marchio i segni dotati di carattere distintivo che comprendano anche indicazioni descrittive della provenienza geografica dei prodotti o servizi rivendicati.
Coerentemente con tale interpretazione, l’UIBM ma ha mai negato la registrazione di marchi contenenti riferimenti puramente descrittivi alla città di Milano. Si pensi, a mero titolo di esempio, ai noti marchi FERNET BRANCA MILANO, F.LLI RAMAZZOTTI MILANO, PUPA MILANO, BIFFI MILANO, ALFA-ROMEO MILANO, ecc..
Si aggiunga poi che Milano è il nome di una città ma non solo. Infatti, Milano è anche un cognome molto diffuso in Italia, soprattutto in Lombardia, Piemonte e Campania. Ci si chiede come dovrà comportarsi lo “sfortunato” portatore del cognome “Milano” nel momento in cui decidesse di depositare una domanda di registrazione del proprio nome come marchio.
Si pensi ad esempio al marchio “BARATTI & MILANO”, già registrato in Unione europea con il n. 008679219 per prodotti delle classi 29, 30, 31 a nome della società Baratti & Milano S.r.l. di Bra, oppure al marchio “ANDREA MILANO”, registrato in Unione europea con il n. 018307153 per prodotti a nome della società Acetificio Andrea Milano s.r.l. di Napoli.
Nel momento in cui detti marchi dovessero, per una qualunque ragione, essere domandati anche in Italia, le richiedenti si troverebbero oggi a dover ottenere specifica autorizzazione al SUAP, spiegando “le motivazioni e l’interesse, insito nella richiesta di registrazione del marchio recante la denominazione “Milano” e l’effettivo collegamento con il territorio e con i valori cittadini, l’idoneità a veicolare un’immagine positiva della città di Milano”. Si tratterebbe evidentemente di una richiesta di motivazione curiosa per società che hanno sede rispettivamente in Bra e Napoli.
Quanto sopra fa emergere una differenza di trattamento che l’UIBM (o meglio, il Comune di Milano) e l’EUIPO riservano ai richiedenti marchi “recanti la denominazione Milano”, visto che al momento risultano registrati ed amministrativamente validi quasi 1000 marchi (precisamente 988) dell’Unione europea contenenti il termine “Milano”, tra i quali ad esempio: BREIL MILANO, COLUSSI MILANO, PRADA MILANO, POMELLATO MILANO, ecc..
L’ultimo dubbio è di ordine pratico.
Il meccanismo previsto dall’art. 10 CPI, decisamente rodato, prevede che l’UIBM rifiuti d’ufficio domande di registrazione di marchio contenenti “nomi di enti pubblici territoriali italiani (…) a meno che l'autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione”.
Ci si chiede tuttavia cosa accadrebbe nel momento in cui l’UIBM, applicando alla lettera il citato art. 10 CPI, ammettesse a pubblicazione un marchio “recante la denominazione Milano” ma che non corrisponde a “nomi di enti pubblici territoriali italiani”.
Di certo il Comune di Milano non potrebbe proporre una opposizione, dal momento che la violazione dell’art. 10 CPI non rientra tra i possibili fondamenti di una opposizione (art. 176, comma 5 CPI).
Sarebbe invece ipotizzabile il deposito di una domanda di nullità ai sensi dell’art. 184-ter CPI, poiché la norma elenca tra i “soggetti legittimati” anche “qualunque interessato” “nei casi di cui ai commi 2 e 3, lettera a), dell'articolo 184-bis”, norma secondo la quale: “la nullità del marchio può essere chiesta per i seguenti motivi: a) il marchio d'impresa non avrebbe dovuto essere registrato in quanto non soddisfa i requisiti di cui agli articoli 7, 9, 10, comma 1 (…)”. Questo naturalmente ammesso e non concesso che il Comune di Milano riesca a dimostrare che l’UIBM non avrebbe dovuto registrare un marchio “recante la denominazione Milano” senza riferimenti diretti al nome dell’ente pubblico territoriale, ovvero al Comune.
Infine, il Regolamento del 23 aprile 2024 prevede all’art. 7 che “l’autorizzazione ha durata decennale al pari della registrazione del marchio d’impresa decorrenti dalla data di deposito della domanda” e che “decorso il periodo di durata decennale, l’Autorizzazione potrà essere rinnovata, previa presentazione di idonea richiesta da parte del soggetto richiedente, nel rispetto delle previsioni di cui al presente regolamento”.
Anche ipotizzando che l’autorizzazione sia effettivamente compatibile con l’art. 10 CPI, si nota che l’UIBM in sede di esame della domanda ha il dovere di negare la registrazione di marchi contenenti “nomi di enti pubblici territoriali italiani” in assenza della suddetta autorizzazione ma una volta concessa la privativa nessuna ulteriore verifica è richiesta all’Ufficio in sede di rinnovo. In altri termini, nessuno avviserà il Comune di Milano nel caso in cui venisse presentata una domanda di rinnovo di un marchio “recante la denominazione Milano” in assenza del rinnovo dell’autorizzazione da parte del SUAP.
In conclusione, per i motivi sopra esposti, sembrano esserci dubbi di compatibilità tra il “Regolamento per il rilascio dell'autorizzazione alla registrazione di marchi di terzi recanti la denominazione “Milano”” del Comune di Milano e l’art. 10 del Codice della Proprietà Industriale. Quand’anche sussistesse compatibilità, il Comune di Milano sarebbe gravato di un triplice onere: a) di esame delle richieste di autorizzazione; b) di monitoraggio delle domande di registrazione e di rinnovo depositate presso l’UIBM; c) di contrasto delle violazioni mediante deposito di apposite istanze di nullità ai sensi dell’art. 184-bis CPI.
Si auspica pertanto che il Comune di Milano affini il Regolamento e chiarisca i punti ambigui.
Alessio Canova
Italian & European trademark and design attorney
Fondatore e CEO di C-3PI, specializzato nella tutela e nella valorizzazione economica del marchio e degli asset di Proprietà Intellettuale